Diciamola tutta: ai tifosi italioti non è parso vero di potersi prendere una marginale rivincita sui perfidi e austeri teutonici. La Germania, che da sempre si è mostrata critica nei confronti dell’assenza di rigore nel nostro paese – soprattutto in tema di finanza pubblica, ma anche con riferimento alle debolezze degli istituti di credito nostrani – ha visto uno dei più rilevanti tra i suoi campioni nazionali (Deutsche Bank significa letteralmente “banca tedesca”) attraversare un periodo di seria difficoltà.
La storia comincia nell’ottobre dello scorso anno, quando il nuovo co-amministratore delegato John Cryan vara un programma di ristrutturazione chiamato “Strategy 2020”, con la sospensione dei dividendi sulle azioni ordinarie, forti riduzioni nel personale e graduale uscita da 10 paesi. A metà di quest’anno, Standard and Poor’s rivede al ribasso l’outlook a causa delle sfide che il management dovrà affrontare nel portare avanti il piano di rilancio, pur confermando il rating “BBB+/A-2”. Nello stesso periodo, il ramo americano dell’istituto non riesce a superare gli stress test della Federal Reserve, mentre la casa madre supera di poco l’analoga verifica curata dalla Banca Centrale Europea.
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