Abbiamo parlato molto spesso del conflitto di interesse che esiste quando la consulenza finanziaria viene fornita da soggetti che collocano i propri prodotti di risparmio gestito o che in ogni caso vengono remunerati dai gestori di fondi.
Quanto disinteressati possono essere i consigli di qualcuno che guadagna in base all’importo che riesce a farvi investire? Come possiamo essere sicuri che i suggerimenti saranno improntati alla scelta più conveniente per il risparmiatore e non ai prodotti con le commissioni più elevate?
Una risposta facilmente intuibile a queste domande retoriche ci viene da un report del Multi Family Office Tosetti Value che su base trimestrale analizza la performance e i costi di prodotti di risparmio gestito e che è stata ripresa da un articolo sul Sole 24 Ore a firma di Maximilian Cellino.
Lo studio viene effettuata sulle 250 società più grandi che gestiscono prodotti UCITS con orizzonte temporale di lungo termine, gestione sia attiva che passiva. Con UCITS (che sta per Undertakings for the Collective Investment in Transferable Securities ) si fa riferimento ai prodotti che aderiscono ad un insieme di regole stabilite dalla Commissione Europea per armonizzare le caratteristiche dei prodotti che vengono impiegati per raccogliere il risparmio dei cittadini europei. Parliamo di gestione attiva se l’amministratore del fondo decide in modo discrezionale titoli sulla base di una propria strategia, mentre avremo una gestione passiva nel caso il prodotto si proponga semplicemente di replicare la performance di un indice o di un mercato.
I risultati della ricerca, per quanto prevedibili non sono affatto incoraggianti per i risparmiatori italiani che si trovano di fronte le performance peggiori e i costi più elevati.
Durante i mesi dell’epidemia Covid i prodotti made in Italy restano mediamente i più cari: 1,44% contro il solo 1% dei concorrenti europei. E questo solo considerando i costi che i risparmiatori devono pagare ogni anno, tutti gli anni: le cosiddette “spese correnti” (ongoing charges).
Mediamente, quindi, su un investimento di 100.000 euro con un big italiano del risparmio gestito, sono 440 euro di commissioni “in più” all’anno. La beffa che si aggiunge al danno è che a fronte di costi così elevati, i rendimenti sono molto scarsi.
Dal gennaio 2018 infatti, fondi e gestioni italiane hanno mediamente fatto perdere soldi ai risparmiatori o hanno dato un rendimento praticamente nullo. A fronte di rendimenti negativi o in un intorno di zero, le società di gestione hanno invece guadagnato molto dai risparmi che le persone hanno affidato loro.
Prendendo come riferimento le due società con commissioni più alte la prima ha caricato 6320 per ogni 100 mila investiti che in 2 anni hanno reso zero. La seconda commissioni solo lievemente minori, pari a 6190 per ogni centomila investiti che però in due anni sono diventati 96900.
Per darvi un termine di paragone limitandoci al grafico che segue e che potete trovare nell’articolo del sole e sulla pagina web di tosetti value, 100 mila euro affidati al miglior gestore globale nello stesso periodo sono diventati 110mila con con 500€ di costi: dunque un decimo dei costi e una performance decisamente migliore.

Insomma se comprate il vino seguendo i consigli dell’oste finirete per bere male e a caro prezzo.
Cosa si può fare allora? L’articolo de sole è pessimista e parla letteralmente di una zavorra dalla quale sembra impossibile liberarsi.
Chi segue il mio podcast e il canale Youtube dovrebbe invece sapere che ottenere performance migliori a costi significativamente inferiori è possibile sia affidandosi a società di gestione che utilizzano canali di distribuzione meno onerosi (ad esempio piattaforme web), scegliendo operatori più piccoli e o innovativi come i Roboadvisor, di cui abbiamo parlato nelle pillole video Youtube oppure componendo il proprio mix di ETF con l’aiuto di qualche advisor indipendente, qualcuno che non sia pagato per farvi comprare i prodotti più costosi.
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