Di fronte al successo dell’offerta di acquisto da parte di Intesa Sanpaolo su UBI banca a fine luglio avevo parlato sul blog Econopoly 24 di una differenza culturale tra Banca di Sistema e Banca di Mercato mettendo a confronto le strategie divergenti dei primi due gruppi bancari del paese.
Questa chiave di lettura mi sembra utile ed efficace per leggere la decisione dell’amministratore delegato di Unicredit, Jean Pierre Mustier di lasciare l’istituto al termine del proprio mandato il prossimo mese di aprile.
Quale banchiere italiano, cresciuto ben inserito e nel “sistema” avrebbe osato resistere ad un’ “offerta che non si può rifiutare” per accollarsi quel gran pezzo di una banca del Monte dei Paschi di Siena previo scudo dal rischio di contenzioso (9 miliardi di richieste contro 1 di accantonamenti), aumento di capitale (stimato prudenzialmente tra 1,5 e 2 miliardi) e con l’aggiunta di un bel beneficio fiscale (circa 3 miliardi di Defrerred Tax Asset) fresco di legge finanziaria?
Sicuramente nessuno. Ne consegue che, come si fa con un corpo estraneo il sistema immunitario del capitalismo politico-corporativo nostrano ha provveduto ad espellere il pericoloso virus della logica di mercato che il perfido manager francese minacciava di voler diffondere al di qua delle Alpi. Un segnale forte, per marcare il territorio e ribadire che le banche sono “cosa nostra” e che in questa congiuntura straordinaria, avversa a tutti tranne che che ai politici è appunto il primato della politica a dettare l’agenda.
Ma fuori dalle opinioni, ideologie e narrazioni nazional-populiste proviamo a guardare semplicemente ai fatti alla luce della dicotomia culturale tra banca di sistema vs banca di mercato. Della prima ho già scritto in questo post evidenziando come la scelta di rafforzarsi in casa e compiacere il governo locale vince di sicuro nel brevissimo termine, ma lascia molte sfide di medio periodo che si avvicinano a velocità crescente e che avranno carattere tecnologico, organizzativo e globale.
Parliamo dunque della banca di mercato voluta da Mustier, al quale è stato consentito un certo margine di manovra anche per il carattere sistemico dell’istituto di Gae Aulenti che andava messo in sicurezza con mezzi propri posto che un eventuale dissesto sarebbe stato “Too Big to handle” non solo per l’Italia, ma per tutta l’Unione Europea, che non può permettersi il rischio di reazioni a catena.
Il manager francese ha smaltito gli attivi tossici, nella forma essenzialmente di crediti deteriorati, ereditati dalle gestioni precedenti e lo ha fatto senza sconti o aiuti di stato, raccogliendo capitali sui mercati e sacrificando partecipazioni di valore come Fineco e Bank Pekao. Ha imboccato la via più stretta e impervia del risanamento interno affrontando di petto e senza esitazioni il dilemma sconveniente tra trasformazione ed estinzione che attende tutti i frequentatori dei salotti italici quando i soldi dei contribuenti e la pazienza dei regolatori cominceranno a scarseggiare.
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