“C’era una volta una Donna Rossa, chiamata a svolgere il ruolo di “quota rosa” in un racconto fatto di uomini Neri, Marroni e Grigi, e bla, bla, bla”
Rosamaria sorrideva mentre prendeva in giro il suo amico Bobo, un uomo nero, che aveva rinunciato a spaventare i bambini e si era dedicato ad una luminosa carriera come personaggio di videogiochi e di serie TV.

“La tua mancanza di sensibilità è quasi proverbiale.”
Bobo avrebbe detto quella frase con un’espressione corrucciata, se avesse avuto un volto con il quale esprimerla.
“Tu invece ti lasci prendere troppo da questa fissazione del politicamente corretto. Vuoi che nel mio libro ti trasformi nella donna nera? Pensi che sarebbe comunicativamente efficace o politicamente opportuno?”
Bobo voleva dire qualcosa, poi tacque lasciando spazio a un altro affondo della sua amica: “non trovi invece che sia proprio la trasformazione del cattivo-uomo-nero in simpatico-amico-buono a concretizzare la componente accattivante e originale del racconto?”
“Probabilmente sì. Però l’agente letterario ha detto tassativamente che dopo tre uomini colorati, serve una donna altrimenti il libro non ce lo pubblicano: chi sei tu per opporti alle leggi del mercato e alle tendenze prevalenti nel settore dell’editoria?”
“Una che il libro se lo pubblica da sola su Kindle Direct Publishing e se ne infischia dell’editoria e del politicamente corretto?”
Rosamaria amava scherzare e soprattutto prendere in giro Bobo. Il capitolo del libro del quale stavano discutendo fu intitolato alla donna rossa.
C’era una volta una donna rossa che odiava più di ogni altra cosa i privilegi ingiusti di cui godevano i ricchi, i nobili e tutti quelli che avevano avuto la ventura di nascere in condizioni più fortunate rispetto al resto della popolazione.
Il suo odio nasceva da una vicenda vissuta in prima persona da bambina. Suo padre era un mercante così facoltoso da trovarsi nelle condizioni di concedere dei prestiti a monarchi e imperatori e, un brutto giorno, quando si trovò a richiedere indietro le somme ad uno di questi, ottenne una risposta che lo lasciò di ghiaccio: “io sono un grande re e tu un semplice mercante, da oggi ho deciso che il mio debito nei tuoi confronti non esiste più, anzi non è mai esistito. Se hai qualcosa da discutere, te la vedrai con il mio esercito.”
Non è del tutto certo che i dettagli della vicenda siano stati proprio questi, ma nell’immaginario della bambina è così che la storia era rimasta impressa. Il padre della donna rossa non disponeva di un esercito che potesse difendere i suoi interessi e dovette rinunciare al denaro prestato a quel monarca, che si era comportato in modo tanto scorretto. Questo primo inconveniente fu solo l’inizio di una lunga serie di difficoltà: non potendo riscuotere il credito che vantava nei confronti di quel re, il mercante si trovò senza denaro quando i suoi creditori gli chiesero di pagare le merci che aveva ritirato e, per tenere fede ai propri impegni, dovette vendere tutte le sue proprietà.
Caduti in disgrazia, tutti i membri della famiglia dovettero darsi da fare per guadagnarsi da vivere e, la bambina, che poi sarebbe diventata la donna rossa, passò da una situazione agiata in cui non le mancava nulla e aveva molti servitori, ad una in cui le toccava svolgere diversi lavori, alcuni anche molto umili, per sopravvivere. Cominciando a lavorare, in breve tempo si rese conto che un gran numero dei lavoratori più poveri erano anche ignoranti e incapaci di rendersi conto di come i ricchi li sfruttassero. La donna rossa decise allora che avrebbe aiutato il popolo dei lavoratori a prendere coscienza delle ingiustizie che subiva e a rivoltarsi contro i ricchi e i nobili.
La rivolta ebbe successo e la donna rossa fu messa a capo di un nuovo stato nel quale nessuno poteva essere più ricco degli altri. All’inizio tutti i poveri erano entusiasti e speravano che avrebbero migliorato la propria posizione, dividendosi le ricchezze che prima erano concentrate nelle mani di pochi sfruttatori.
Dopo non molto tempo però tutti si accorsero che, in uno stato dove nessuno può essere più ricco degli altri, sono tutti ugualmente poveri.
Si potrebbe dire che la condizione dei poveri non era cambiata molto dopo la rivoluzione contro i ricchi, tuttavia c’erano delle differenze: nella nuova società, era lo stato ad avere la proprietà di tutte le cose, a decidere quali lavori andavano svolti, chi li dovesse svolgere e come andassero distribuiti i frutti del lavoro. Lo stato era rappresentato dalla donna rossa e dai suoi compagni, che imponevano a tutti le proprie decisioni e mettevano in prigione chi non era d’accordo.
Alcuni lavoratori avevano iniziato a pensare che, forse, il nuovo stato era anche peggiore di quello precedente, perché i lavoratori, oltre ad essere ancora poveri e sfruttati (questa volta dallo stato che si era sostituito ai ricchi), erano anche privati della libertà di scegliere quale lavoro fare e della possibilità di accumulare denaro per migliorare la propria posizione. Inoltre, se a parole la donna rossa e i suoi compagni erano uguali agli altri, nei fatti erano loro i privilegiati, perché potevano scegliere per sé e per i propri sodali i lavori più comodi e prestigiosi e attribuirsi la parte migliore e maggiore delle risorse.
Un giorno la donna rossa ricevette la visita di una bambina che girava il mondo in compagnia di un uomo nero e di suo padre Carmelo. La bambina, che in passato aveva sfidato avversari temibili e spietati, portò con sé tre domande per colei che aveva guidato la rivoluzione contro i ricchi.
“Prima domanda: tu dici di avere a cuore l’uguaglianza e di voler combattere le ingiustizie e questo ti fa molto onore. Non credi che sia un’ingiustizia anche imporre l’uguaglianza alle persone contro la loro volontà?”
La donna rispose con tono glaciale
“No, non lo credo affatto. La vera ingiustizia è che esistano ricchi che hanno il potere di sfruttare i poveri. Nel mio stato, dove non esistono ricchi, tutti i cittadini sono tutti e, dunque, non esistono ingiustizie.”
La bambina cercò di argomentare:
“Non credi che possano esistere dei ricchi che non sfruttano i poveri? Persone che hanno accumulato un patrimonio grazie al proprio impegno e alle proprie capacità senza approfittare di nessuno? Non credi che possa esser ingiusto obbligare all’uguaglianza individui che sono diversi?”
“No, non lo credo affatto. Chiunque accumula ricchezze superiori agli altri è un nemico del popolo e deve essere eliminato.”
Dopo la prima domanda sulla giustizia, Rosamaria ne aveva una anche sull’uguaglianza:
“Seconda domanda: Posto che il tuo obiettivo è la massima uguaglianza, non credi che questa si possa realizzare anche livellando le opportunità di partenza? Non potrebbe questa diversa accezione essere compatibile con una maggiore libertà dei cittadini? Immagina una gara di corsa. La tua visione dell’uguaglianza significa imporre che nessuno arrivi prima degli altri e dunque la gara perda di senso. L’uguaglianza realizzata alla partenza significa dare a tutti la possibilità di correre ad armi pari e lasciare che vinca il migliore.”

La donna rossa cominciava a spazientirsi.
“L’idea della gara non mi piace, perché nelle gare c’è sempre qualcuno che rimane indietro. Se eliminiamo le gare, nessuno sarà più costretto a perdere. Comunque, i tuoi discorsi non mi piacciono. Ho fatto incarcerare persone meno insolenti di te.”
Rosamaria non si scompose:
“Conosco i tuoi metodi nei confronti di chi non la pensa come te e mette in discussione il tuo sistema. Per questo sono venuta in missione diplomatica per conto dell’uomo Grigio, che governa la città al di là del mare. Se non mi vede ritornare entro il termine stabilito verrà a liberarmi alla testa del suo esercito.”
La donna rossa assunse un’espressione dura e chiuse la conversazione:
“Credo che non abbiamo null’altro da dirci.”
Rosamaria aveva però una terza domanda, che volle comunque porre anche se sapeva che non avrebbe avuto risposta:
“Tu hai dato vita ad una rivoluzione in nome dell’uguaglianza e della lotta allo sfruttamento e all’ingiustizia. Tuttavia, non c’è giustizia, né uguaglianza nel modo in cui tu e i tuoi compagni trattate i cittadini che devono obbedire ai vostri ordini e vengono imprigionati se osano protestare. I lavoratori, che prima erano sfruttati dai ricchi, oggi sono sfruttati dallo stato, che voi avete costruito e hanno perduto la libertà di agire come vogliono. Se nessuno può diventare ricco, non è per giustizia né per uguaglianza, ma solo perché siete voi a nome dello stato a gestire tutte le risorse della società. Cosa rispondi all’accusa di aver tradito chi ha fatto la rivoluzione insieme a te, per prendere il posto dei ricchi che avete scacciato?”
Naturalmente la donna rossa non rispose e fu solo grazie alla protezione accordata dalla missione diplomatica che Rosamaria, suo padre Carmelo e l’mico Bobo, poterono lasciare il paese e fare ritorno alla città dove li attendeva l’umo Grigio.
L’uomo grigio, che governava la città dove la bambina e il suo amico avevano scelto di vivere, lesse con avidità il racconto del viaggio e chiese alla bambina, cosa pensasse del paese della donna rossa, che raccontava al mondo di aver sconfitto l’ingiustizia e di aver fatto trionfare l’uguaglianza.
“Dico che la donna rossa e la condizione infelice dei cittadini, che vivono sotto il suo governo, mi hanno impartito una grande lezione: anche le migliori intenzioni e i più alti ideali non possono e non devono essere imposti con la forza a chi non li condivide.”
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