C’era una volta un regno molto ricco e felice chiamato Terraforte governato da un sovrano dall’animo gentile di nome Benepenso. Questo re aveva molto a cuore la felicità e la prosperità dei propri sudditi e, per essere sicuro di agire sempre nel modo migliore, onde preservare e migliorare le condizioni del suo popolo, decise di nominare un concilio ristretto composto da tre consiglieri, che lo avrebbero assistito in tutte le scelte e decisioni di governo.

I tre membri che ne facevamo parte erano il conte Tistronco, generale in capo dell’esercito, il duca Tartasso, amministratore del tesoro del regno e il marchese Culoaltrui, gran ciambellano dei funzionari di corte. I tre consiglieri amavano tenere uno stile di vita agiato e, per mantenerlo, avevano bisogno di molto denaro. Allo stesso modo, i nobili, i militari e i cortigiani che collaboravano con loro desideravano imitarli e dunque anche loro avevano un bisogno sempre maggiore di soldi. Dopo qualche tempo, le spese dell’esercito, dei nobili e dei cortigiani raggiunsero un livello così elevato da esaurire quasi tutte le ricchezze di cui disponeva il re.
“Dobbiamo aumentare le imposte,” suggerì il duca Tartasso per risolvere il problema dei fondi che mancavano, “il nostro lavoro è importante e indispensabile per garantire la felicità e la prosperità del regno. Se non abbiamo abbastanza danaro, non possiamo svolgere appieno il nostro compito: affinché i sudditi di Terraforte continuino ad essere felici, noi abbiamo bisogno soldi e occorre introdurre una nuova tassa.”
Benepenso amava molto i propri sudditi e, per fare in modo che rimanessero felici, ordinò che fosse introdotta la nuova tassa.
“C’è tuttavia un altro aspetto da considerare”, aggiunse il marchese Culoaltrui, “per applicare la nuova tassa, occorrono persone in grado di calcolare quanto ciascuno debba pagare, servono poi nuovi esattori per incassare l’importo dovuto. Per fare in modo che sia possibile applicare la nuova tassa, occorre una sopratassa, che raccolga il denaro necessario a pagare chi conteggia e riscuote le imposte.”
Il re amava molto i propri sudditi e, per fare in modo che rimanessero felici, introdusse la soprattassa per pagare il calcolo e la riscossione della nuova tassa. Per qualche tempo il meccanismo sembrava funzionare. I sudditi pagavano imposte sempre più alte e le spese dello stato continuavano a crescere.
Al crescere delle tasse, alcuni cominciarono ad essere meno felici e a lamentarsi. Ma i consiglieri del re, che dall’aumento delle imposte traevano i maggiori benefici, si guardavano bene dall’informare il sovrano e dal riportargli le lamentele. In fondo a lamentarsi erano mercanti ed artigiani più piccoli, che non disponevano di vaste reti di commercio fuori dal regno e che ritenevano di pagare un costo troppo alto per i servizi che gli offriva lo stato.
Un giorno un monaco, famoso in tutto il mondo per la sua saggezza, si trovò a passare per Terraforte e il re volle riceverlo per ascoltare i suoi consigli.
“Venerabile maestro”, chiese il sovrano, “io cerco tutti i giorni di governare per il bene della mia gente e vorrei il vostro consiglio su come farlo nel modo migliore”.
“Gentile Sovrano”, rispose il saggio, “la tua domanda ti fa onore e dimostra quanto tu sia tanto nobile nell’animo, quanto nel lignaggio.”
“Ho avuto modo di visitare il tuo paese e di parlare con molti dei tuoi concittadini e, dopo attente riflessioni, ho trovato qualcosa che potresti fare per migliorare le loro condizioni.”
Benepenso, che, come abbiamo detto, amava molto i propri sudditi e fu molto felice di ascoltare il consiglio del saggio su come aiutarli.
“Sono due le attività che fanno ricco il tuo paese: la prima è il commercio di tessuti, la seconda è la lavorazione dei metalli preziosi. Da ogni parte del mondo accorrono viaggiatori e mercanti attratti dal pregio delle stoffe e dalla bellezza dei gioielli, che si trovano al grande mercato di Terraforte.”
“Dunque, ricchi e felici sono i mercanti di tessuti, ricchissimi gli artigiani che fabbricano i gioielli, e anche tutti coloro i quali hanno la fortuna di lavorare per loro possono vivere agiatamente. Ci sono tuttavia anche molti cittadini poveri e infelici. Privi di un lavoro sono costretti a chiedere l’elemosina e vivere della carità degli altri.”
“Questo mi addolora”, disse il sovrano, “come possiamo intervenire per aiutare queste persone?”
“Il mio consiglio è molto semplice: visto che in pochi hanno troppa ricchezza, e in molti soffrono la fame, mi sembra logico concludere che la scelta più logica sia togliere agli uni per dare agli altri.” Il sovrano era molto soddisfatto di questo consiglio e disse: “grazie maestro, a nome mio e di tutti quelli che avranno beneficio dalla tua saggezza.”
Il re dispose allora che ad ogni cittadino in condizione di povertà fosse consegnata una moneta al giorno, in modo che potesse vivere in modo dignitoso. Le casse del regno, tuttavia, non contenevano abbastanza denaro per far fronte a questo nuovo nobile intento.
“Occorrerà introdurre una nuova imposta, che chiameremo Tassa-Salvapoveri”, disse il duca Tartasso, “per fare in modo che siano raccolte abbastanza monete e poter così offrire ad ogni bisognoso la sua moneta giornaliera.”
Benepenso voleva per tenere fede all’impegno preso per rendere felici i propri sudditi e, seguendo il consiglio ricevuto, introdusse la tassa-salvapoveri.
Intervenne allora anche il marchese Culoaltrui, a ricordare la necessità di una soprattassa per il calcolo e la riscossione della nuova Tassa Salvapoveri. Il re che fino a quel giorno non aveva avuto modo di dubitare dei suggerimenti dei propri consiglieri introdusse la soprattassa, per pagare il calcolo e la riscossione della nuova tassa “salvapoveri”.
Oltre a non informarlo del malcontento, che si andava diffondendo a causa delle nuove tasse, i consiglieri evitarono di far sapere al re che, per ogni moneta che veniva distribuita ai poveri, i cortigiani e i nobili trattenevano due accumulando fortune ingenti.
Col passare del tempo, molti mercanti e artigiani non trovarono più conveniente continuare la loro attività a causa delle tasse troppo elevate e la ricchezza del paese cominciò a diminuire. Ai mercati arrivavano sempre meno viaggiatori e in molti furono costretti a lasciare il paese perché non trovano abbastanza compratori per le loro mercanzie. Anche gli artigiani che fabbricavano i gioielli pian piano chiusero le loro botteghe e partirono per altri paesi alla ricerca di migliore fortuna. Nel frattempo, il numero dei poveri cresceva di giorno in giorno e, ogni giorno occorrevano nuove monete per sostenerli.
Un brutto giorno i consiglieri riferirono al re che il paese era vicino alla bancarotta. Nelle casse dello stato non c’era più abbastanza denaro per pagare i nobili, i cortigiani e i poveri che avevano diritto alla moneta giornaliera.
Benepenso, che ormai aveva capito come funzionava l’economia, chiese ai suoi consiglieri: “Fino ad oggi abbiamo risolto il problema aggiungendo nuove tasse, perché non continuare in questo modo?”
“Non è possibile” rispose il conte Tistronco. “Ormai chiediamo ai mercanti e agli artigiani di pagare in tasse tutto quel che guadagnano e di trattenere una sola moneta al giorno.”
“E dunque, con tasse che eguagliano il guadagno dei più ricchi, non riusciamo a mantenere il paese? Ma com’è possibile?”
“Molti artigiani e mercanti hanno abbandonato il nostro regno” rispose il duca Tartasso “mentre altri dopo aver pagato tutto in tasse, sono diventati poveri a loro volta.”
Il re era molto sconfortato e non riusciva a capire come risolvere la situazione.
“Dobbiamo vendere i beni dello stato”, propose il marchese CuloAltrui, “così incasseremo abbastanza soldi per continuare a pagare quel che serve al regno per essere felice.”
Benepenso che amava i propri sudditi ed aveva da sempre pensato solo a loro, per una volta, decise di pensare a sé stesso.
“Che farò dopo aver venduto tutti i beni dello stato? Diventerò alla fine povero anche io? Fino ad oggi ai poveri ha pensato il re, chi provvederà a lui quando sarà diventato povero?”
La regina, che non aveva mai visto suo marito tanto sconfortato, gli si avvicinò per chiedere cosa lo affliggesse.
“Moglie mia sono disperato” iniziò a raccontare “ho passato la vita a cercare di rendere felice il mio paese, ho dato ascolto ai saggi di questo e degli altri regni e ho dato monete dalle casse dello stato ai più bisognosi. Ho sempre cercato di fare del bene, eppure oggi mi trovo con un regno povero e in rovina. Se metto in pratica l’ultimo dei consigli che ho ricevuto, diventerò alla fine povero anche io. Che posso fare?”
La moglie lo abbracciò e cercò di dargli conforto.
“Mio sovrano, fino ad oggi hai dato ascolto ai membri della corte e il tuo regno da ricco e fiorente oggi è in rovina. Hai dato ascolto al monaco che ti suggeriva di aiutare i poveri ed oggi loro non sono più poveri, ma a breve lo sarai tu. Io non capisco di affari di stato, però credo che a questo punto dovresti rivolgerti a qualcun altro per chiedere consiglio: potresti provare con qualcuno dei ricchi mercanti che hanno lasciato il paese, forse chi ha dimostrato di saper creare ricchezza può aiutarti a risolvere il problema.”
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