Ieri sul sito del Fatto Quotidiano erano esposti due punti di vista abbastanza divergenti.
Nel blog FQ Londra si parlava delle singolari modalità di ingresso(diverse dal resto del mondo) nella professione giornalistica italiana mentre il giornalista Vincenzo Iurillo titolava in modo inequivoco
Ma io difendo i fondi pubblici per l’editoria
La distanza tra gli outsider che guardano stupefatti all’ennesima anomalia italiana e l’insider che cerca di difendere l’indifendibile non potrebbe essere più grande. A maggior ragione, se consideriamo che lo fa dal giornale che costituisce la prova provata della possibilità di fare informazione senza finanziamenti pubblici e se teniamo in conto, come dimostra l’esperienza de Linkiesta, della possibilità che una testata seria possa anche anche essere esclusivamente on line.
Veniamo ad alcune semplici considerazioni.
Iurillo scrive
E a chi mi snocciola esempi di sprechi, inefficienze e clientele dei ‘quotidiani fantasma’ ingrassati sulle spalle dei contribuenti solo per distrarre fondi pubblici a fini privati o assumere figli e parenti e amici e amiche dei potenti di turno, senza vendere uno straccio di copia, io rispondo che non si combatte uno scandalo di partite truccate abrogando il campionato di calcio.
Esempio molto infelice: molti dei giornali che ricevono i contributi, sono come squadre di paese, con un seguito trascurabile, che a spese della collettività vengono mantenute in serie A per perdere sistematicamente (come potrebbe essere altrimenti?) contro i team maggiori. Ne vale la pena? Chi ci guadagna (a parte ovviamente i percettori dei sussidi)?
Ancora scrive
Nel settore dell’informazione non sono in vigore le regole del libero mercato. Esistono posizioni dominanti, monopoli camuffati e tollerati, grandi gruppi imprenditoriali che agiscono in più campi e che possiedono, anche, testate in perenne perdita, il cui unico scopo è quello di difendere gli interessi dell’editore i cui veri guadagni, però, sono altrove. I fondi pubblici per l’editoria cooperativa e di partito – e qui cito il mio collega de Il Fatto Quotidiano Eduardo Di Blasi – servono a difendere la voce di chi non troverà mai spazio sui media governati dai grandi interessi. In nome del pluralismo.
Singolare idea di mercato e concorrenza: combattere le posizioni dominanti sussidiando arbitrariamente a spese della collettività alcuni competitor? Spiace se mi faccio una testata anche io? Ho un sacco di belle cose da dire che sicuramente interessano a tanta gente…
Davvero credete che giornali dichiaratamente ‘comunisti’ come Il Manifesto o Liberazione potrebbero vivere senza i contributi governativi, estromessi in partenza e per principio dal circuito delle grandi commesse pubblicitarie?
La risposta è molto semplice: se c’è abbastanza gente interessata all’articolo i costi di produzione (magari drasticamente ridimensionati dall’edizione esclusivamente on line) saranno sicuramente coperti. In caso contrario si sta semplicemente abusando dei soldi dei contribuenti per tenere in vita delle testate che NON interessano un numero sufficiente di lettori.
La più degna conclusione sul tema, mi pare venga da questo post.